REFLUSSO GASTROESOFAGEO E DISTURBI INTESTINALI: una questione di cattiva alimentazione e stress!
Nel corso dei millenni il nostro organismo è stato sottoposto ad un continuo processo di adattamento necessario per fronteggiare i mutamenti climatici ed ambientali. Tra questi un ruolo di primaria importanza è stato ricoperto dalla dieta.
Da cacciatore e raccoglitore di bacche e tuberi l'uomo primitivo è gradualmente passato all'agricoltura e all'allevamento modificando radicalmente sia le abitudini di vita sia quelle alimentari.
Se tutto ciò da un lato ha consentito una maggiore disponibilità di cibo dall'altro ha decisamente limitato la varietà di cibi presenti nella dieta. Da allora fino ad oggi i cereali hanno infatti costituito la base imprescindibile dell'alimentazione umana.
Nel corso dei secoli mano a mano che le condizioni sociali ed economiche migliorarono a queste colture furono associati ulteriori alimenti. Pensiamo ad esempio all'introduzione del mais e della patata nel periodo successivo alla scoperta dell'America.
Nonostante l'evoluzione delle conoscenze agricole bisogna tuttavia aspettare la rivoluzione industriale per poter apprezzare i primi significativi cambiamenti in campo alimentare. A partire dal primo dopoguerra l'ondata economica che ha percorso i Paesi più industrializzati ha improvvisamente ampliato la disponibilità di cibo. Nel corso di pochi anni l'industria alimentare ha letteralmente rivoluzionato le abitudini dietetiche di milioni di persone. Oltre agli innumerevoli benefici derivanti da questo boom alimentare si sono tuttavia poste le basi per molti dei problemi digestivi che ogni giorno affliggono milioni di persone in tutto il mondo.
Eccesso di cibo, additivi chimici ed abitudini alimentari scorrette sono tra i principali fattori alla base dei problemi digestivi.
Le difficoltà digestive, raggruppate sotto il generico termine dispepsia (dal greco dys-pepsia, ossia "cattiva digestione"), sono responsabili di sintomi come inappetenza, pesantezza di stomaco, stanchezza, sonnolenza, eruttazioni, alitosi, flatulenza.
Oggi sulle nostre tavole si possono trovare cibi provenienti da qualsiasi parte del mondo a prezzi accessibili.
Purtroppo in molti casi la qualità degli alimenti non va di pari passo ne con le possibilità economiche del consumatore ne con le sue conoscenze dietetiche. D'altro canto l'industria alimentare, al pari delle altre attività commerciali, non è certo immune dalle ambizioni di guadagno e questo il più delle volte va a discapito della qualità dei loro prodotti.
Spesso servono notizie sconcertanti come gli anabolizzanti nella carne, il mercurio nel pesce o la diossina nei polli per risvegliare momentaneamente lo spirito critico del consumatore. In realtà basterebbe conoscere le reali proprietà degli additivi chimici o di altre sostanze utilizzate in campo alimentare per stare alla larga da molti dei numerosi prodotti esistenti in commercio.
Se queste sostanze prese singolarmente in dosi limitate sono del tutto innocue, la stessa cosa non si può dire se il loro consumo perdura a lungo o se vengono assunte per anni addizionandole ad altri additivi chimici.
La frittura degli alimenti sviluppa, per esempio, numerose sostanze tossiche, in relazione al tipo di olio utilizzato ed alla temperatura di cottura. Un chilo di carne alla griglia contiene invece all'incirca lo stesso quantitativo di benzopirene (un idrocarburo estremamente cancerogeno) presente in 600 sigarette.
La combinazione tra sostanze tossiche, additivi chimici ed alimenti di scarsa qualità porta inevitabilmente ad una intossicazione dell'organismo i cui sintomi, facilmente osservabili, comprendono dermatiti, aumento del peso corporeo, stanchezza, cefalea e problemi digestivi. Il consumo regolare di frutta e verdura abbinato ad un po' di attività fisica aiuta invece a ridurre l'assorbimento di tali sostanze favorendone, al tempo stesso, l'eliminazione.
La dieta occidentale è caratterizzata dalla presenza di molti cibi, specialmente quelli industriali, ricchi di grassi saturi. Alcuni di questi, possono causare malattie infiammatorie intestinali (o IBD) nelle persone predisposte che, oltre a essere più di quante si possa pensare, sono in costante aumento.
La scoperta di questo meccanismo è avvenuta a seguito di uno studio pubblicato su Nature e condotto dai ricercatori dell'Università di Chicago.
Ad essere sotto accusa sono i grassi contenuti nel latte, i quali si trovano in abbondanza in tutti gli alimenti trattati industrialmente che troviamo comunemente in commercio. Questi grassi, secondo lo studio, andrebbero ad alterare la composizione batterica intestinale. L'effetto principale è un'interferenza nel delicato equilibrio tra il sistema immunitario ed il microbiota. Questa scoperta potrebbe spiegare la sempre più diffusa manifestazione delle cosiddette malattie immuno-mediate.
Il professor Eugene B. Chang e colleghi, ritiene che questa modifica alla flora intestinale può causare l’emergere di pericolosi ceppi batterici e la conseguente risposta immunitaria non regolata, può risultare particolarmente difficile da far cessare.
«Questo è il primo meccanismo plausibile che mostra passo-passo come le diete occidentali contribuiscano al rapido e continuo aumento dell'incidenza della malattia infiammatoria intestinale – spiega il dottor Chang – Sappiamo come alcune differenze genetiche possano aumentare il rischio per queste malattie, ma affinchè essa si sviluppi realmente sembra sia richiesto un secondo evento, che può essere indentificato nel nostro stile di vita che cambia».
I ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti su modello murino geneticamente privato dell'Interleuchina 10 che agisce come freno alla risposta immunitaria, in cui si è evidenziato come, a seconda dei casi, variasse l'incidenza della malattia. In particolare l'incidenza della IBD si mostrava nel 20% dei topi alimentati con una dieta povera di grassi in genere o ricca di grassi polinsaturi.
Quando invece questi modelli erano alimentati con una dieta “moderna” ricca di grassi saturi del latte, l’incidenza delle malattie infiammatorie intestinali triplicava, arrivando a colpire oltre il 60% dei modelli. Allo stesso modo aumentava di molto la gravità e l'estensione della malattia.
Questo studio, «mostra come l'andamento del consumo di diete di tipo occidentale da parte di molte società, sia potenzialmente in grado di sbilanciare lo stato mutualistico tra ospite e batterio a uno stato che favorisce l'insorgenza della malattia», ha concluso Chang.
Coloro che sono soggetti a malattie infiammatorie intestinali, devo quindi cercare di capire quale tipo di dieta seguono e se tra gli alimenti assunti ve ne sono alcuni o molti che contengono grassi saturi derivati dal latte.
Fonte: http://www.sciencedaily.com/releases/2012/06/120613133040.htm
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